Come evitare il micromanagement senza perdere il controllo?
Oggi parliamo di automonitoraggio, one-to-one efficaci e feedback continuo per gestire meglio il team.
È possibile evitare il micromanagement senza perdere il controllo su obiettivi e risultati?
Ne abbiamo parlato con Giacomo Trovato, CEO di Genertel, ex Country Manager Italia e Sud-Est Europa di Airbnb ed Executive Teacher di Wibo.
Qual è il comportamento che un leader dovrebbe assolutamente evitare nella gestione delle persone?
Una delle cose che sicuramente un leader deve evitare è il micromanagement.
È un comportamento che, per chi lo subisce, trasmette un messaggio chiaro: mancanza di fiducia.
Quando ti metti a scrutinare nel dettaglio il lavoro di qualcuno in modo serrato e continuo, comunichi sfiducia, anche quando non è tua intenzione.
Come si può evitare il micromanagement mantenendo comunque il controllo sui risultati?
Si possono mettere in piedi meccanismi di automonitoraggio.
Faccio un esempio: un manager può predisporre report settimanali che mostrino a ciascuno i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi prefissati.
Questi report vengono distribuiti in azienda, così ognuno può capire da solo se è in linea o in ritardo con gli obiettivi.
Questa semplice abitudine genera molta disciplina.
In alcuni casi, non c’è nemmeno bisogno di dire nulla: la persona vede da sé che non sta raggiungendo il target e si regola di conseguenza.
Puoi fare un esempio concreto di automonitoraggio che hai vissuto in azienda?
In aziende come Amazon, questa è una routine settimanale.
Viene distribuito un report dettagliato con tutte le metriche delle varie aree aziendali. Ogni team può così fare un’autodiagnosi e capire dove si trova rispetto ai propri obiettivi.
A seguire, c’è un confronto collettivo su questo cruscotto di monitoraggio. Le persone devono arrivare preparate: se sono in ritardo sugli obiettivi, devono saperlo.
E devono spiegare perché e cosa stanno facendo per rimediare, senza che il manager debba intervenire in modo invasivo.
Oltre a questo sistema, credo molto in incontri one-to-one regolari con ciascuna persona del team.
Come si svolge per te un one-to-one efficace?
Innanzitutto, per me, il one-to-one non dovrebbe essere un momento in cui io interrogo la persona (sarebbe di nuovo una forma di micromanagement).
In un one-to-one efficace, l’agenda è gestita da chi mi riporta: è uno spazio che quella persona ha a disposizione per raccontarmi come stanno andando le cose nelle sue aree di responsabilità.
Se tutto va bene, mi informa semplicemente.
Se ci sono difficoltà, me le espone, mi racconta come sta pensando di affrontarle, e, se ha bisogno, mi chiede supporto.
Io sono lì per aiutare, non per controllare.
Questo è anche un momento utile per dare feedback continui sui comportamenti.
🔏 Qui un recap, da scaricare e portare con te, su quali sono i principi di un one-to-one efficace 🔏
Mi fai un esempio di come si dà il feedback?
Per esempio, potrei dire:
“Guarda, nella riunione ho visto che eri poco preparata rispetto al problema che stavamo discutendo”
oppure
“Mi è sembrato che tu fossi un po’ aggressivo verso quell’altra persona, non ti sei mostrato molto disponibile all’ascolto”.
Il one-to-one diventa così un momento per dare feedback comportamentali concreti, anche attraverso esempi e aneddoti specifici.
Questo aiuta le persone a comprendere meglio: il comportamento viene legato a un episodio reale, quindi diventa più chiaro.
Oltre a questo, cosa non deve mancare in un one-to-one?
Gli one-to-one sono appuntamenti regolari, ma almeno una volta all’anno assumono una forma più strutturata: diventano il momento per fare il punto sul percorso di sviluppo di una persona.
In quell’occasione condivido anche per iscritto le mie aspettative rispetto ai comportamenti e ai margini di crescita che vedo.
Ovviamente il feedback deve essere continuo, ma trovo utile che almeno una volta all’anno certe cose vengano anche formalizzate.
Cosa in particolare va formalizzato?
Durante questo incontro annuale, di solito consegno un documento scritto in cui chiarisco due cose:
Gli obiettivi numerici che ci poniamo (il “cosa”).
I comportamenti che mi aspetto dalla persona (il “come”).
In questo modo rendo le mie aspettative molto specifiche.
Uno dei problemi più frequenti nella gestione è proprio questo: i risultati deludenti derivano spesso da aspettative mai chiarite fino in fondo.
Per questo è fondamentale investire tempo nel rendere esplicite e dettagliate le aspettative.
Una volta che sono stati decisi gli obiettivi e chiariti i comportamenti attesi, quali sono le responsabilità del leader?
Credo che una delle responsabilità principali del leader sia favorire la collaborazione tra le persone.
È essenziale evitare che si lavori in silos, e per questo il leader dovrebbe essere un fluidificatore delle dinamiche di team.
Un’altra responsabilità importante è quella di aiutarle a superare i vincoli organizzativi.
Spesso, infatti, le persone si trovano bloccate da ostacoli che non possono superare da sole.
Io, ad esempio, in questo momento sono AD di Genertel, che fa parte del Gruppo Generali. Alcune decisioni operative non dipendono solo da noi di Genertel, ma richiedono l’approvazione di figure interne al Gruppo.
In questi casi, il mio ruolo è proprio quello di intervenire per sbloccare situazioni che i miei collaboratori farebbero più fatica a risolvere da soli.
Infine, un’altra responsabilità chiave è saper raccogliere gli input, fare sintesi e stabilire priorità.
Viviamo in contesti dove si vorrebbe fare molto di più rispetto alle risorse disponibili.
Per tornare al tema del micromanagement, non esiste nessun caso in cui può avere senso?
C’è un solo caso in cui il micromanagement può avere un senso: quando ci troviamo in una situazione di sotto-performance di una persona.
Ma anche in quel caso deve essere limitato nel tempo e avere una finalità molto chiara: aiutare quella persona a diventare autonoma e ad elevare il proprio livello di performance.
Se ti trovi a fare un lavoro molto ravvicinato con una persona in difficoltà, deve essere evidente che lo stai facendo per aiutarla a sviluppare un metodo, non per sostituirti a lei.
Deve essere chiaro che quel supporto è temporaneo, e che l’obiettivo è permettere a quella persona di correggersi da sola e recuperare terreno.
Altrimenti rischi di rimanere sempre incastrato nell’operatività di basso livello, e in questo modo non riesci a fare davvero il tuo lavoro di leader.
Anche per oggi è tutto!
Prima di andare via volevamo solo condividere con te uno step importante della nostra crescita: Wibo ha chiuso un round da 500.000€!
Questo round è speciale perché porta a bordo proprio alcuni Executive Teacher: C-level, Founder, Imprenditrici e CEO che ogni anno ci aiutano a formare oltre 10.000 persone nelle nostre Leadership Academy.
Oggi alcuni di loro hanno deciso di far parte di questa storia ancora più da vicino, come soci.
Ringraziamo:
Andrea Incondi (Vice President Europe South di Flixbus)
Lorenzo Lagorio (Country Manager Italia di easyJet)
Elena Mirandola (ex CEO F.C. Como Women)
Giacomo Trovato (AD di Genertel)
Duccio Vitali (CEO & Founder di Alkemy)
Oscar Farinetti (Founder di Eataly)
Marco Fassone (ex AD e C-level di Milan, Napoli e Juventus)
Adriano Accardo (General Manager di TikTok)
Simone Cimminelli (Angel Investor)
Oltre a loro, ci sono anche partner investitori come Talent Garden e Techstars.
Un enorme grazie agli investitori per il supporto.
Un enorme grazie a tutti i nostri Executive Teacher.
E, soprattutto, al team di Wibo 💜
Buon lavoro! 👋